Prima di noi
Quando ho letto prima il libro, e poi le sceneggiature di Valia Santella e Giulia Calenda tratte dal romanzo di Giulio Fontana “Prima di noi”, mi sono sentito subito trasportato in qualcosa di molto familiare.
Il racconto, visto attraverso gli occhi della montanara Nadia Tassan, interpretata da Linda Caridi, mi ha acceso mille piccoli ricordi. Dei miei nonni, dei miei genitori, di personaggi di romanzi o di film che a loro volta si ispiravano alle personali saghe e mitologie familiari.
Il racconto di un’Italia che nel lavoro e nella fatica ha attraversato il novecento. Persone che mettevano con fatica assieme due pasti al giorno, e che subiva le ingiustizie della storia: le guerre, la dittatura, la precarietà di un paese con una grande storia alle spalle ma con un presente che non prendeva mai una forma rassicurante e stabile.
Mentre giravo era frequente che qualche persona ci avvicinasse, chiedesse cosa stavamo facendo. Mi piaceva raccontare la storia della serie, ma non appena iniziavo, ecco che partivano i ricordi: come mia nonna, come i miei nonni. Dormivamo sul pagliericcio, ci siamo trasferiti in città, pioveva in casa, non avevamo ancora l’acqua corrente, ricordo quando ci hanno messo la prima lampadina, quando sono arrivati i fascisti, quando è morto il tale in guerra, quando…
Mi piacerebbe se dallo sguardo di Linda Caridi e di Andrea Arcangeli, che interpreta il soldato Maurizio Sartori, si riconoscessero gli sguardi di chi c’era prima di noi. Governati prima dal bisogno che dal desiderio, prima dalla paura e dalla fame che dall’amore, hanno fondato le basi di questo paese, lasciando poche tracce visibili, ma mille tracce invisibili.
È la storia di coloro che non hanno lasciato monumenti, romanzi, canzoni, che non sopravvivono nemmeno nei ricordi ma che hanno fatto noi, e questo strano posto che chiamiamo Italia.
È stato un piacere provare ad assecondare il passo popolare di questo racconto, sperando che il pubblico possa immergersi nell’alternanza delle vite e delle stagioni della storia che compongono il mosaico di queste esistenze.
Ho lavorato con un cast meraviglioso che ha evocato certi volti di un tempo, certi atteggiamenti cercandoli dentro di loro, studiando con rispetto un mondo così lontano, cercando di farci sentire in una fiaba vera. Un racconto con una dimensione fiabesca e reale, che come nelle mitologie familiari mescoli alla verità qualche deriva fantastica che renda il dolore patito meno inspiegabile.
Per me è la seconda volta con Rai1 per una grande serie, dopo la terza stagione di L’Amica Geniale. Mi piace l’idea di collaborare a grandi affreschi che in maniera problematica e non oscura, ma, anzi, fine e popolare, ci permettano di dire: anche io, anche noi, anche loro.
Daniele Luchetti
La mia relazione con Prima di noi è iniziata nel 2020, quando con Giulia Calenda abbiamo iniziato a lavorare all’adattamento del romanzo di Giorgio Fontana. Man mano che scrivevamo, i personaggi del libro, e su tutti Nadia la capostipite della famiglia Sartori, diventavano sempre più vividi. Erano come dei nostri familiari, intimi, ci si svelavano davanti con le loro fragilità e le loro grandezze.
Nella famiglia Sartori ci sono quelli che, al di là delle guerre, della fame, della povertà, continuano a costruire sempre e quelli che di fronte al dolore del mondo soccombono e finiscono per distruggere se stessi e gli altri. Due grandi tipi umani: i costruttori e i distruttori. In loro abbiamo rivisto le dinamiche delle nostre famiglie e di mille altre famiglie.
Durante la fase di preparazione, parlando con i collaboratori più stretti e leggendo il copione con gli attori, mi sono resa conto che anche loro ritrovavano nella storia dei Sartori un pezzo della propria famiglia, frammenti di memorie a loro vicini.
Anche nel grande lavoro di ricerca fatto con la costumista Marina Roberti e con lo scenografo Sergio Tribastone, quello che ci interessava era che la ricostruzione dell’epoca risultasse in qualche modo contemporanea a noi e non messa tra virgolette. Volevamo essere lì, negli anni cinquanta o settanta, accanto ai nostri protagonisti. Volevamo che ci parlassero. I materiali dai quali traevamo ispirazione erano archivi familiari, foto personali, finanche abiti e oggetti che provenivano dalle nostre case.
Ho cercato questo senso di intimità e vicinanza anche nel lavoro fatto con gli attori. In qualche modo dovevamo davvero diventare una famiglia. In questo siamo stati favoriti dal fatto che all’inizio delle nostre riprese eravamo tutti in Friuli, isolati in un paesino in cui non c’era nulla, in un hotel che ospitava solo noi. Mangiavamo insieme, restavamo a leggere le scene al ristorante o semplicemente a chiacchierare, e spesso a cantare. In quei giorni si sono costruite relazioni che ci hanno sostenuto per tutta la durata delle riprese. Sul set ci portavamo dietro il senso di familiarità che costruivamo quotidianamente.
Durante le riprese io ero sempre accanto alla macchina da presa, sempre vicina agli attori, volevo essere con loro e volevo che loro sentissero che c’ero. Con il direttore della fotografia, Ivan Casalgrande, abbiamo scelto di lavorare in modo tale che gli attori fossero sempre liberi di abitare lo spazio. La scena era tutta per loro ed Ivan, con la sua sensibilità, riusciva a cogliere sempre i momenti emotivamente più alti. Ho avuto il privilegio di lavorare con dei collaboratori e degli attori molto generosi, con i quali si è stabilito un rapporto di ascolto reciproco costante.
È stato proprio questo senso di appartenenza, questa intimità, questa vicinanza nei confronti degli esseri umani (quelli che siamo e quelli che raccontiamo), a guidarmi sempre, dalla scrittura alle riprese.
Realizzare questa serie è stato come attivare una magica macchina del tempo, capace di farci vivere la vita di quelli che sono venuti, appunto, Prima di noi.
Valia Santella